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Tarkus

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il7In occasione del segmento più sessualmente e climaticamente hot dell’estate 2009, potrebbe capitarvi di vagare vestiti solo di sandali, boxer e bandana, tra le dune di Torvajanica alle 14:30 alla caccia di formicaleoni da prendere a schicchere e/o torturare con le pinzette, per affermare il potere del predatore uomo anche sulle bestiacce più temibili.
Beh, non fatelo! L’album storico di cui parliamo stavolta, Tarkus, degli ELP (Emerson, Lake & Palmer), dimostra con l’acutezza di un secco, ma buffo teorema morale, che a bestioni pachidermici non porta bene razzolare su terre desertiche in ere primordiali massacrando altre elp_tarkus-front_covercreature in sfide tanto selvagge quanto insensate.
Ascoltando la prima parte di questo CD possiamo immaginarci tali scene con il corollario imbiz-zarrito di suoni epici e svettanti che si sollevano dalle pietre come se esse trasudassero un commento musicale alle gesta mitologiche ma orribili dei mostri più grotteschi. Oltre ad essere il titolo di un disco capolavoro del progressive rock e quello della suite di venti e passa minuti che occupa il primo lato di questo 33 giri, Tarkus è il nome del bestione protagonista di questa narrazione musicale, una creatura guerrafondaia a metà strada tra “l’armadillo texano e un carro armato della prima guerra mondiale e con le tendenze aggressive di un Gengis Khan” (vedi booklet del cd). Le illustrazioni contenute nel libretto ripercorrono meglio la storia: Tarkus nasce da un uovo sulla base di un vulcano in eruzione (!), poi si scontra con una serie di creature assurde tra cui una sorta di mostro tentacolato, poi un crossover bio-meccanico tra uno pterodattilo e un caccia-bombardiere, ed un altro essere ibrido tra un pesce preistorico, una mantide e un rettile abbattendoli a cannonate, come se sputasse. Infine Tarkus si scontra con la Manticora: una creatura mitologica greca con la testa d’uomo, il corpo da porcospino e la coda da scorpione, insomma un’altra creatura che non ispira troppe coccole. Nello scontro, Manticora ha la meglio (diventerà il nome della casa produttrice dei tre musicisti) in quanto colpisce Tarkus all’occhio con l’aculeo, costringendolo a fuggire nell’acqua dell’oceano, dove scompare, sconfitto. Alcuni hanno visto in questa breve parabola una velata polemica contro l’interventismo amer-cano in Vietnam, mentre secondo Emerson illustra solamente “come abbia avuto inizio la vita sulla Terra”.

elpQuanto al prog britannico, esso aveva invece avuto inizio dalla ricerca di un vena sinfonica di ispirazione ottocentesca unita alla tendenza alla sperimentazione; questa formula era già alla base del lavoro dei Nice prima che l’ambizioso Emerson se ne tirasse fuori per formare il “supergruppo” Emerson, Lake & Palmer, ritagliandosi su misura un ruolo da assoluto protagonista in un “power trio” che poneva il suo virtuosismo tastieristico al di sopra, se non al posto, dei più ortodossi (per il rock) assoli di chitarra. Dopo l’entusiasmante omonimo disco d’esordio, gli ELP sfornano con Tarkus uno dei primi album contenenti una vera e propria suite, ed il sound è incredibilmente dinamico, esaltando le capacità dei tre, già provate in importanti esperienze precedenti. Carl Palmer è potente ed infaticabile nel ritmo sostenendo e trascinando la pirotecnìa generale, Greg Lake incanta con le melodie tracciate dalla sua voce sicura e di grande estensione e puntellando la costruzione da par suo con basso e occasionali interventi di chitarra, Emerson riesce nell’ impresa di far suonare le sue magniloquenti tastiere con un equilibrio compositivo tale da non prevaricare sui compagni o sull’ascoltatore; monumentalità, solenne petrosità e autocelebrazione non pregiudicano il carattere avvincente dell’articolazione sonora ma anzi la caratterizzano con la giusta sfrontatezza. I testi, curati da Lake, sono enigmatici e portatori di una retorica antica da vecchio profeta messa in poesia, che se la prende, per inciso, anche contro i clerici stregati dal potere: “Il predicatore disse una preghiera: che si salvassero tutti i capelli che aveva in testa. E’ morto. / Il ministro dell’odio è arrivato un attimo troppo tardi per essere risparmiato. A chi importò qualcosa? / Al tessitore preso nella rete che lui stesso aveva creato!” Spesso vengono utilizzati tempi dispari ed Emerson troneggia tra organo Hammond e sintetizzatore Moog producendo lunghi passaggi strumentali alternati alle parti cantate da Lake. “Non capisci quanto è stupido combattere?” è il sottotitolo di uno dei passaggi della suite, ed un altro, dopo, recita: “Cosa hai ottenuto da tutto questo?” e qui un assolo di chitarra elettrica di Lake si integra magnificamente con i suoni dell’organo del leader.

Nella seconda facciata, brani più agili trovano la loro collocazione; il primo è “Jeremy Bender”, keithemersonun divertissement col piano in stile honky tonk, un genere che Keith Emerson – a parte la sua rivisitazione, divenuta una hit, del classico “Honky tonk train blues” (contenuto in “Works volume 2”) – tornerà a frequentare, con il suo primo album solista, “Honky”, interamente dedicato, nel 1980. L’atmosfera di “Jeremy Bender” tuttavia sembra essere quella della canzone da saloon western, ed il testo parla del protagonista come di un tizio pigro che si fa suora ed intrattiene diverse e controverse relazioni con le sue ehm… consorelle prima di stancarsi ed andarsene. Dopo l’ingombrante e massiccia epica della title track, questo pezzo può sorprendere chi non conosce il vezzo degli artisti progressivi di affiancare ai pezzi più imponenti alcune composizioni più brevi, simili talvolta a leggende minori dal tono beffardo. A seguire, “Bitches crystal”, anch’ esso su tempi dispari, recupera l’energia drammatica con uno sviluppo originale che alterna pia-no e tastiere sotto alla voce di Lake, che declama con impeto versi apocalittici su un nuovo medioevo: “Bitches Crystal sa come contorci tutte le linee. Veggente, venditrice di futuro. / Spiriti torturati urlano / La paura è nei loro occhi / Immagini spettrali muoiono./ Pozione di strega mesco-lata nell’oceano delle lacrime. Poteri mistici emergono dalla torre della paura“. “The only way” è invece una composizione per organo, ispirata, nell’intro e nel bridge, alla Toccata in F e Preludio VI di Bach, la grave sacralità è assicurata anche dalle parti vocali, che persistono più o meno su questo registro anche quando Emerson passa al piano jazz accelerando l’esecuzione e distil-lando dei suoni più liquidi. Il testo esprime, diversamente da ciò che ci si potrebbe aspettare, un certo distacco nei confronti dalla religione, un’ottica decisamente laica. “Infinite space” è la prosecuzione strumentale del brano precedente, che essa espande e completa con una tessitura pianistica rigida sorretta dalla sezione ritmica, con un risultato severo ed ossessivo insieme. Con “A time and a place” si torna ad un pezzo “corale” nel senso che i tre si lanciano all’unisono in un’ esecuzione incisiva che abbina ancora una volta al tecnicismo una buona dose di aggressività: le scariche tastieristiche sembrano faglie tettoniche in movimento e Lake sembra animato da cieco furore: “C’è un posto, un tempo e un luogo che nessuno può rintracciare (…) Salvami da questa terra vuota / Salvami dalla morsa della rabbia / Trascinami via dalla sabbia infuocata / Mostrami coloro che capiscono“. La chiusura è affidata a “Are you ready Eddy?”, un “capriccio” in stile rock’n’roll pianistico dedicato a Eddie Offord, l’ingegnere del suono; con l’ironia sbilenca di questo pezzo disimpegnato, da smargiassi guasconi, gli ELP si congedavano temporaneamente da un pubblico che li amò fino al punto di riempire costantemente grandi arene e consentirgli di acquistare già nel nel 1973 l’imponente, vecchio palazzo sede di un cinema a Londra ed adibirlo a Quartier Generale della Manticore Worldwide: la stanza delle proiezioni divenne il loro ufficio; d’altronde Emerson, a proposito di Tarkus, ebbe a dire che la sua complessità di forme asimmetriche, la sua bitonalità erano fondamentalmente fan-tascienza musicale”. E che dire, allora, di Brain Salad Surgery? Album mostruosi, altro che formicaleoni storditi dall’afa d’Agosto!

Il_7 (Marco Settembre)

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