Lo vedo sul fondo della stanza. Mi dirigo verso la mia scrutatrice. La scruto. Trent’anni circa, capelli neri a caschetto, viso affilato, corporatura snella, jeans scuro elasticizzato e piuttosto attillato, stivaletti scamosciati, maglioncino di cotone nero a girocollo. E’ seduta, ragion per cui non riesco a farmi un’idea ben precisa dei glutei. Ma stamane voglio essere ottimista. Incrociamo gli sguardi. Le passo la carta d’identità e la tessera elettorale. Rivolgo verso il basso il frontespizio: adoro esaltare la curiosità femminile. Lei scrive qualcosa sul registro. Sorrido e fingo di emettere un piccolo rutto, opportunamente soffocato. Voglio che la scrutatrice arrivi a chiedersi se non sia il caso di invitarmi a cena in un ristorante macrobiotico ad alta digeribilità. Un signore mi passa le schede elettorali. Entro in cabina. Canticchio “Dite a Laura che l’amo” di Michele per rompere la tensione. Sono combattuto tra il mio senso civico e la necessità di assecondare i desideri della scrutatrice. Decido per la seconda opzione, ma con il dovuto rispetto per la mia privacy. Le scrivo, sulla scheda per il Senato: “Non ti lascio il mio numero di telefono, ma lo puoi comunque trovare scritto in tutti i bagni delle ragazze”.
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